lunedì 30 gennaio 2012

L'ora nera


Atterrati a Mosca con la prospettiva di vendere un'innovativa applicazione per telefoni cellulari a dei magnati russi, i due giovani programmatori Sean e Ben scoprono che un collega svedese si è appropriato dell'idea e ha concluso l'affare prima di loro. Per consolarsi, decidono di passare la serata in uno dei locali più glamour della capitale, dove stringono amicizia con due turiste americane. Fra una vodka e l'altra, all'improvviso la città viene paralizzata da un gigantesco black out e dal cielo cominciano a scendere degli strani fasci di luce. Una volta toccata la terra, questi bagliori si fanno invisibili e iniziano a disintegrare uno ad uno tutti gli umani che si trovano di fronte, seminando in tutta la città panico e distruzione.
C'è un proverbio inglese che dice: “The darkest hour is just before dawn” (“L'ora più nera è quella che precede l'alba”). È un modo poetico per dire che c'è sempre un barlume di speranza anche nelle situazioni peggiori. Ma è anche una buona sintesi per comprendere il tipo di intrattenimento che offre L'ora nera: classico b-movie che, in fondo al buio pesto della sua trivialità, rivela qualche scintilla d'ironia e qualche guizzo di intelligenza. E che chiede ben presto di non fermarsi alla sua superficie grossolana e ai suoi personaggi ai limiti del sopportabile, ma di cogliere dietro a quell'ingenuità catastrofica un insieme di riferimenti godibili alla fantascienza del passato e alla cultura giovanile del presente.
Non è certamente un caso, infatti, se uno dei generi che ha catalizzato per anni le paure anti-sovietiche nella cultura popolare americana decida di sbarcare proprio in Russia. Così come pare un curioso contrappasso che “le cose” venute dallo spazio attacchino una capitale dominata da marchi e loghi di multinazionali in variante cirillica, o che a garantire la sopravvivenza della specie siano alla fine dei vecchi sottomarini della Guerra Fredda. Il fatto è che in questa sorta di Blob dell'era digitale e post-comunista, gli alieni non sono neanche più interessati agli umani. Niente masse gelatinose e antropofaghe, né forze extra-terrestri decise a sostituirsi a noi mentre dormiamo. Solo una serie di fasci invisibili sensibili ai conduttori elettromagnetici e interessati a nutrirsi di tutti quegli elementi che alimentano la nostra tecnologia.
Per questo la tecnologia è ovunque ne L'ora nera: dalle application per gli smartphone fino a un campo di battaglia finale delimitato da dei telefoni cellulari. Perché solo nel buio della fantascienza per adolescenti più dozzinale si può realizzare un tale nuovo corto circuito fra vecchi immaginari. Lo sa bene Timur Bekmambetov (Wanted, I guardiani della notte) che, dopo aver riscritto in ipotetica versione orrorifica l'impresa dell'Apollo 18, si conferma produttore di sottogeneri retrospettivi che guardano alla competizione fra sovietici e americani come a un lungo b-movie da drive-in.
In questo nuovo contesto, i mostri diventano quelli che cercano di espropriarci delle nuove tecnologie, contro i quali l'unico rimedio per proteggersi è schermarsi dietro una teca di vetro. O, ancora meglio, dentro un Apple Store.
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