lunedì 30 gennaio 2012

Sleeping Around


In una metropoli tanto futuristica quanto anonima, si muovono le vite e le relazioni di diversi personaggi, ognuno dei quali vive un rapporto anonimo o vitale con il sesso. Un noto professore di psicologia viene invitato dalla manager di un'importante multinazionale a diventare il nuovo testimonial di una bibita gassata. Lasciando in sospeso la risposta, l'uomo gestisce nel frattempo un fugace incontro con una giovane studentessa determinata a sedurlo e una relazione con una donna sposata a un ex pilota con problemi di impotenza. In un altro punto della città, una coppia di giovani innamorati ha deciso di rinunciare al sesso dopo che lui si è scoperto malato di aids. Per caso, nella stessa notte lui incontra una hostess con problemi di solitudine, mentre lei viene accolta in casa da un vigilante senza un soldo e con un figlio a carico.
Per il suo esordio al cinema, il regista teatrale Marco Carniti ha scelto di giocare in casa, rielaborando una pièce da lui portata in scena anni prima. Scritta sul finire degli anni Novanta da quattro dei più importanti drammaturghi britannici, Sleeping Around è infatti un tipico lavoro teatrale di fine millennio, tanto nell'impianto quanto nella scrittura. Al centro, la solitudine della metropoli e il sesso come strumento diversivo e manipolatorio, la depressione dilagante e i falsi valori della società contemporanea.
Per dare un senso di maggiore linearità ai quadri e agli episodi a incastro della pièce - costruita come una sorta di domino in cui si passa da un personaggio all'altro, inanellando una serie di duetti fino a realizzare un circolo chiuso - Carniti sfrutta i meccanismi cinematografici del montaggio parallelo e degli incroci temporali. Purtroppo, dall'altra parte non aggiorna né alleggerisce il peso ideologico di un testo che mostra tutti i suoi pochi ma visibili anni. All'origine, Sleeping Around era infatti un lavoro di gruppo pervaso da quell'ansia tecnofobica e da quella visione nichilista di sesso e affetti che caratterizzavano le principali ansie di fine millennio. Carniti ne accentua in qualche modo il gioco delle parti e la morale schematica, tenendo anche la recitazione dei suoi attori su un registro teatrale che, anziché smorzare l'atmosfera surreale e ironica delle premesse (una multinazionale cinese che inventa una strumento per proiettare pubblicità sulla faccia visibile della luna), la sovraccarica fino al parossismo. Il lavoro migliore è senza dubbio quello sugli ambienti: una scenografia di vacua opulenza fatta di interni lussuosi ed esterni in cui dominano solo ponti di ferro e grandi strutture in vetro e acciaio.
Caratteristici non luoghi post-moderni che sconfessano qualunque contestualizzazione e spersonalizzano i contesti in cui abitano queste anime sole e spaventate. Ma anch'essi alla fine non fanno altro che enfatizzare il messaggio di solitudine cosmica e gli standard consumistici di realizzazione personale. Quei fantasmi di fine millennio ormai talmente concreti da meritare nuovi strumenti per poter essere demonizzati.
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